Quando ero piccola io, la maglietta intima era di pura lana vergine. Le opzioni erano due: scollo a V o girocollo e quest’ultima, la preferita di mia madre, era talmente accollata da spuntar fuori qualsiasi tipo di felpa o maglione indossassi. Col tempo poi, il tessuto si restringeva anche un po’, producendo un effetto avvolgente che alla moderna microfibra faceva un baffo.
Allora non me ne rendevo conto, ma quell’orrendo capo di vestiario ha rischiato seriamente di compromettere la mia femminilità ancora in fieri.
La famigerata maglietta della salute scatenava anche fastidiosissimi effetti collaterali: bastava un lieve innalzamento della temperatura esterna ad infiammarmi le guance, preda di improvvise e violente vampate di calore... In quei momenti, messa accanto a una cinquantenne sembravo senza dubbio io, quella in menopausa.
Insomma, tra i ricordi della mia infanzia, la maglietta color paglierino è in cima alla lista, insieme al fastidioso sfrigolio lungo la schiena che mi procurava al minimo cenno di movimento.
E non c’era verso di liberarsene! Nelle occasioni in cui era prevista una certa attività motoria, alle feste e persino a casa dei nonni, quando la domenica ci si riuniva coi cugini e ci scappava la baldoria, mia madre ne portava sempre una di ricambio nella borsa, in modo da poter sostituire all’occorrenza quella inevitabilmente intrisa di sudore.
Sarà per l’insolito trauma da fibra tessile che ne è derivato, che anche in pieno inverno mia figlia veste intimo in cotone rigorosamente fronte/retro, ovvero sia fuori che a contatto con la pelle. E in un anno e mezzo di vita, non si è mai beccata nemmeno un raffreddore. Io, invece, alle scuole medie avevo già all'attivo due broncopolmoniti.
0 commenti:
Posta un commento