In vece di Costanza

Il vuoto incolmabile lasciato da Costanza, oggi è stato colmato.
Che qualcosa di nuovo fosse nell’aria, si sentiva già da qualche giorno: era il profumo di Lilli, la stagista che la scorsa settimana ha fatto un paio di colloqui col Capo prima di essere presa in sostituzione della mia collega in maternità.

Quando sono arrivata stamattina, lei era già qui, intenta a guardarsi allo specchio per rimettere le ciglia in piega e controllare che nemmeno un baffo fosse sfuggito alla ceretta.
Fatte le presentazioni di rito («Ma Lilli, che nome è?», ha chiesto la segretaria al Capo. «Sarà una traslitterazione disneyana di Liliana», ha risposto lui dopo averci pensato un po’ su), Lilli si è subito
messa a lavoro: ha aperto e chiuso un paio di cartelline, frugato tra documenti accatastati da mesi in attesa di qualcuno che si decida a buttarli e, infine, ha acceso il computer.
Ben presto, però, l’intraprendente stagista si è resa conto di non avere nulla da fare, e così è cominciata la fase di socializzazione.
Sono bastate poche battute per capire che ho di fronte la classica donna “stupefatta”, una di quelle che commentano ogni osservazione con frasi del tipo: «Ma veramente?», o «Dici davvero?», con tanto di sopracciglia sollevate e occhi sgranati. La tipica espressione da pastore della meraviglia sul presepe, insomma.
«C’è una pasticceria proprio qui di fronte, dici sul serio?», «Ma dai, davvero hai una figlia?!» «No, non ci credo, lavori qui da così tanto?» e via così, per tutta la mattinata.
E allora, quando ha detto: «Sento proprio che ci troveremo bene, a lavorare insieme», per restare in tema, ho risposto: «Ma va, dici davvero?».